Le persecuzioni, tuttavia, non furono così minacciose della vita della Chiesa come invece le divisioni interne, dettate per lo più dai vari protagonismi ecclesiali, già denunciati da Paolo nella prima lettera ai Corinzi, ed dalla mancanza di un’autorità dottrinale centrale che facesse da mediatore tra le varie posizioni teologiche che affioravano or qua or là. La proposta di Ario, presbitero di Alessandria, agli inizi del IV secolo, creò uno sconquasso nel rivedere la formula battesimale ‘al ribasso’, rinunciando, di fatto, a dire che Padre e Figlio e Spirito Santo sono l'unico e medesimo Dio. Poiché la formula battesimale, a partire dal mandato del Risorto (Mt 28,19) è sempre stato il punto di riferimento imprescindibile per la vita cristiana, la proposta ariana andava a toccare un aspetto essenziale che non poteva lasciare indifferenti.
Costantino, convocando a Nicea (oggi Iznik) il primo concilio, cercò di creare le condizioni affinché i capi delle Chiese potessero trovare espressioni di fede condivise, allontanando definitivamente le lacerazioni nel corpo ecclesiale. Ricordare Nicea dopo 1700 implica almeno due aspetti importanti: il primo è l’unità della Chiesa, condizione indispensabile per annunciare l'unico Dio di Gesù Cristo salvatore dell'umanità. Se la Chiesa si presenta divisa, soprattutto sul come professa e vive la fede, la credibilità della sua azione s'incrina. Un secondo aspetto è l’importanza di una formula di fede che ha come sua struttura fondamentale proprio la formula battesimale.
Il Credo che ancora i cristiani recitano ogni domenica, pur ampliato lungo il corso della storia, fu a Nicea per la prima volta codificato perché tutti i cristiani potessero ricordare, non tanto delle frasi a memoria, ma che la sorgente della vita cristiana è il battesimo ricevuto nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Dal battesimo nasce la vita in Cristo, immersa nel mistero della sua
Pasqua e in relazione con il dono dello Spirito in cammino verso il Padre. Nicea ha così ribadito un punto essenziale già chiaro nei vangeli”.
Quanto è importante oggi per l’unità dei cristiani questo Concilio?
“Innanzitutto, perché ricorda un evento ecclesiale che ha chiamato tutto il mondo cristiano a trovare un centro di unità attorno alla professione di fede. Va sempre ricordato che la vita cristiana nasce come risposta personale e comunitaria al dono ricevuto in Cristo. Poiché la fede ha una sua intrinseca dimensione ecclesiale, Nicea risulta essere il primo atto ufficiale e pubblico davanti
all’autorità imperiale. Alla luce poi della storia bimillenaria della Chiesa, che ha conosciuto tante, troppe, divisioni al suo interno, chiunque tra i credenti abbia passione per il vangelo, sa che questo
trova la sua forza nel legame di fraternità che i discepoli di Gesù coltivano tra di loro. Perciò una chiesa divisa è una chiesa debole; una Chiesa che cammina verso l'unità, favorendo non l'uniformità
ma il pluralismo che l'unico vangelo è in grado di far splendere da ogni cultura, è una chiesa affidabile, credibile, degna di essere ascoltata e guardata come un punto di riferimento. Nicea sta lì
nella memoria della nostra storia a ricordarci che si possono trovare le vie per incontrarsi”. ‘Il Concilio di Nicea è una pietra miliare nella storia della Chiesa. L’anniversario della sua ricorrenza invita i cristiani a unirsi nella lode e nel ringraziamento alla Santissima Trinità e in particolare a Gesù Cristo, il Figlio di Dio, ‘della stessa sostanza del Padre’, che ci ha rivelato tale mistero di amore. Ma Nicea rappresenta anche un invito a tutte le Chiese e Comunità ecclesiali a procedere nel cammino verso l’unità visibile, a non stancarsi di cercare forme adeguate per corrispondere pienamente alla preghiera di Gesù’.
Per quale motivo papa Francesco nella bolla giubilare aveva sottolineato che esso è un’importante opportunità?
“Nonostante cattolici e ortodossi abbiano calendari diversi da diversi secoli, il prossimo 20 aprile
2025 sarà un’occasione del tutto speciale, per celebrare insieme la Pasqua nello stesso giorno. Fin
dalla prima apparizione sulla piazza di san Pietro, papa Francesco, presentandosi come vescovo di
Roma, aveva fatto capire quanto per lui era importante il rapporto con le chiese apostoliche ortodosse. Gli incontri poi avvenuti con il Patriarca Bartolomeo non avevano fatto che confermare e
consolidare questo desiderio così ardente di vivere la fraternità tra Chiese. Il Giubileo, nel segno
della speranza, è nella sua matrice biblica un momento di liberazione da ogni forma di schiavitù e
oppressione, soprattutto da quella del peccato che divide, separa, impoverisce la vita cristiana.
Vivere Nicea e celebrare la Pasqua assieme con le Chiese apostoliche ortodosse ci aiuta a lavorare
ancora più alacremente per togliere di mezzo ciò che ci divide e cercare ciò che ci unisce. A partire
dalla comune celebrazione della Pasqua, origine della vita cristiana, potremo trovare nuove vie per
ripensare i rapporti tra Chiese e la presenza cristiana in questo nostro mondo afflitto dalle guerre,
dagli egoismi, dalla diseguaglianza sociale ed economica, dalle ingiustizie e violenze presenti
ovunque in ogni forma. L’anniversario di Nicea, nell’anno Giubilare, grazie anche a questa provvidenziale circostanza di date coincidenti, ci aiuta a cogliere i segni dei tempi e la voce dello Spirito che è principio di unità e comunione. Speriamo che non solo i nostri vescovi, ma tutto il popolo di Dio possa lasciarsi guidare dall'urgenza e dalla necessità di vivere il cammino di fraternità di tutte le chiese cristiane. Sarà forse la testimonianza più efficace nel mondo di cosa significhi vivere da cristiani”.
Quale può essere l’apporto delle facoltà teologiche all’unità dei cristiani?
“Il primo compito di una facoltà teologica è conoscere la ricchezza della tradizione ecclesiale per
comprenderla, per poterla esprimere nel linguaggio del nostro tempo e farne vedere la risonanza del perenne vangelo di Gesù, vero e attuale per ogni uomo di ogni tempo. Il lavoro teologico è di
fondamentale importanza in un mondo che vive di informazioni, di parole e di discorsi. La teologia,
occupandosi del mistero di Dio, ha come sua previo esercizio quella della purificazione del linguaggio perchè non sia banale, non sia ambiguo, non sia solo d’effetto, ma corrisponda il più
possibile alla verità del vangelo e alla semplicità dell’umanità di Gesù che ha saputo comunicarsi a
tutti. Più si approfondisce il messaggio cristiano più si impara anche a prendere le distanze da ogni forma con la quale il vangelo è giunto a noi: ogni generazione ha cercato il suo proprio modo di dire e vivere il vangelo, senza poterlo esaurire. Anche oggi c’è bisogno che le generazioni presenti e future accolgano la vita in Cristo con le forma con le quale riusciamo a viverlo, ma senza fermarsi ad esse e cercando quella creatività che restituisce ancor di più luce al ricco vangelo di Gesù e a rendere unica ogni esperienza umana. Inculturazione ed esculturazione posso sembrare parole astratte e difficili da comprendere, ma ci dicono che il vangelo di Gesù non può accadere se non in una forma umana precisa, collocata storicamente e geograficamente, e nello stesso tempo che nessuna ‘forma’ storica del vangelo riesce ad esaurirne la sua ricchezza e profondità. Le facoltà teologiche sono ‘al fronte’ per conoscere il vangelo, le culture del passato, le culture vicine e lontane del presente, per dare un linguaggio nuovo, credibile e vivibile dell’unico vangelo”.
In quale modo la facoltà teologica sostiene la sinodalità?
“Il cammino sinodale di questi ultimi anni ha restituito a tutti gli organismi ecclesiali il compito
dell’ascolto rispettoso e attivo e il senso della partecipazione responsabile da parte di ciascun credente. L’organizzazione richiesta in ogni facoltà non mette in secondo piano i livelli di autorità,
che si strutturano, fondamentalmente, sul rapporto educativo che si instaura tra studente e comunità educante. Pensare ad una comunità accademica in senso orizzontalista, sarebbe un danno
innanzitutto per gli studenti e per la qualità della ricerca. La prassi sinodale ecclesiale però ci ha educato un po' alla volta a valorizzare al massimo gli organismi di partecipazione, a dare più peso alla voce degli studenti, ad entrare in dialogo con le fragilità umane, sociali e culturali spesso nascoste, ad ascoltare la vita delle persone nella loro globalità esistenziale, ad essere più rispettosi di ogni cultura umana.
Lo stile sinodale ci permette di dire che la Facoltà non è un servizio, accademicamente qualificato,
di cui semplicemente ci si serve per ottenere un qualche titolo, ma diventa una palestra di umanità
nella quale si impara che vi è un corpo sociale ed ecclesiale che chiede a tutti partecipazione
responsabile per poter mettere tutti nelle condizioni di raggiungere la maturità di Cristo, come dice
l’apostolo. Perciò lo stile sinodale, si può dirlo con forza, ha aiutato la Facoltà ad esprimere e vivere
la sua vocazione ad essere nella Chiesa un luogo di intelligenza del vangelo capace di comunicarsi a
tutti”.
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